Tecniche chirurgiche in implantologia orale

Tecniche chirurgiche in implantologia orale

Introduzione :

Da diversi anni la terapia implantare è diventata essenziale nella cura complessiva dei nostri pazienti. Questa disciplina ha continuato ad evolversi a partire dai principi proposti da Brånemark, offrendoci una moltitudine di protocolli.


I. Chirurgia implantare convenzionale con lembo:

1. Protocolli chirurgici in una o due fasi:

La pratica attuale in implantologia pone l’accento sulla semplificazione delle procedure e il protocollo one-step è diventato lo standard. Tuttavia, questi due protocolli sono complementari e consentono di ottenere risultati identici. Non esistono quindi indicazioni precise che li differenziano, ma solo degli assi che orienteranno il professionista nella scelta della sua terapia.

1.1. Protocollo chirurgico in due fasi (tecnica sepolta):

Per garantire elevati tassi di successo, l’implantologia moderna secondo Brånemark richiede un approccio chirurgico in due fasi. Doveva rispettare la tecnica della balia, con impianti in due pezzi, cioè impianto separato e moncone transmucoso.

La sepoltura durante il periodo di guarigione ossea avrebbe dovuto consentire (Brånemark et al. 1969 e 1977):

  • Per prevenire la migrazione apicale dell’epitelio lungo l’impianto;
  • Per proteggere efficacemente dalle infezioni batteriche;
  • Per ridurre al minimo le sollecitazioni biomeccaniche trasmesse all’interfaccia osso-impianto durante la guarigione.

Primo passaggio chirurgico:

  • Anestesia locale effettuata con soluzioni contenenti un vasocostrittore, che consente di intervenire in un ambiente con poca acqua. Per la zona mandibolare posteriore, si dovrebbe valutare l’anestesia locoregionale a livello della colonna di Spix, poiché la sensibilità dolorosa del paziente in prossimità del nervo alveolare inferiore può fornire assistenza intraoperatoria;
  • Incisioni: si tratta della prima procedura chirurgica per il posizionamento degli impianti, seguita dal distacco di un lembo mucoperiosteo che consentirà l’accesso all’osso sottostante. Indipendentemente dal sito dell’impianto e dal numero di impianti posizionati, sceglieremo il percorso di incisione dando priorità al minimo delle scariche, all’ottenimento di tessuto cheratinizzato perimplantare e alla preservazione delle papille. Questi obiettivi saranno confrontati con la qualità del parodonto, l’estetica desiderata o la necessità di visualizzare l’osso sottostante;
  • La preforatura o marcatura dell’osso verrà effettuata con una fresa rotonda;
  • Foratura iniziale profonda da 3 a 4 mm. Si passa prima una fresa e poi un’asta guida per validare i due parametri iniziali: il punto di emergenza e l’asse che deve avere l’impianto;
  • Foratura sequenziale mediante più frese di diametro crescente fino a calibrare il sito osseo in base all’impianto da posizionare. La perforazione deve essere effettuata sotto abbondante irrigazione. La velocità di rotazione diminuisce parallelamente all’aumento del diametro delle punte;
  • Posizionamento dell’impianto: l’impianto viene estratto dalla sua doppia confezione sterile e dotato di un supporto per l’impianto. L’avvitamento inizia allineando l’asse maggiore dell’impianto con quello del sito ricevente. L’impianto viene inserito utilizzando un contrangolo con riduzione della velocità a 15 giri/min oppure una chiave manuale. L’avvitamento si interrompe quando il collo dell’impianto è a filo con la cresta ossea. L’avvitamento deve essere effettuato con delicatezza, senza esercitare una forza eccessiva. Una volta posizionato correttamente l’impianto, il supporto dell’impianto viene smontato e viene installata la vite di protezione della filettatura, chiamata vite di copertura;
  • Suture ermetiche: consiste nell’ottenere la coaptazione più ermetica possibile dei bordi attorno alla vite di copertura. A seconda della situazione clinica si possono utilizzare diverse tecniche di sutura. L’obiettivo è che non vi sia mobilità del lembo per non interferire con la guarigione;
  • È necessario un controllo postoperatorio dopo una settimana per rimuovere i punti di sutura.

Seconda fase chirurgica:
Dopo il periodo di allattamento (storicamente, 6 mesi nella mascella e 4 mesi nella mandibola) e il controllo radiologico dell’osteointegrazione, può essere presa in considerazione la seconda fase chirurgica o fase mucosale:

  • Dopo l’anestesia locale, l’incisione è seguita dal sollevamento del lembo che consente l’accesso alla vite di copertura e la sua rimozione. Spesso è necessario resecare uno strato di osso appena formato per liberare questa vite di copertura;
  • La vite di copertura viene sostituita da un’idonea vite di guarigione, che aiuta a guidare la guarigione della mucosa. Spesso è necessario il controllo radiografico dell’adattamento delle viti;
  • Il lembo viene suturato con punti semplici, coaptando i margini tra le viti di guarigione, con sistemazione mucogengivale se necessario, in modo da migliorare l’ambiente del tessuto cheratinizzato in termini di qualità e spessore. La guarigione e la maturazione delle gengive avvengono in un periodo che va dalle 6 alle 8 settimane. La vite di guarigione viene quindi svitata per dare inizio alle fasi protesiche.

Secondo questo approccio, la guarigione delle ossa e delle mucose viene spostata cronologicamente. Durante i primi 4-6 mesi l’osso guarisce e la mucosa assumerà la sua forma definitiva solo dopo il nuovo intervento.

1.2. Protocollo chirurgico in un unico passaggio (tecnica non interrata):

Una delle prime evoluzioni del protocollo è stata la chirurgia in un’unica fase. In effetti, alcuni ricercatori, tra cui Schroeder, hanno dimostrato che l’interramento dell’impianto non è una condizione sine qua non per la sua osteointegrazione.

Il protocollo chirurgico in una fase viene originariamente eseguito con impianti monoblocco, ovvero in cui l’impianto e il suo collo sono a contatto con i tessuti duri e la gengiva. Tuttavia, questo protocollo può essere applicato anche agli impianti in due pezzi destinati a un protocollo chirurgico in due fasi, ma posizionati secondo un protocollo chirurgico in una fase.

Nella tecnica chirurgica degli impianti non interrati, il posizionamento dell’impianto è identico. La differenza sta nell’esposizione diretta (inserimento immediato di una vite di guarigione), senza che l’impianto venga posizionato in posizione umida durante l’osteointegrazione. L’impianto non viene quindi isolato dall’ambiente orale perché viene esposto tramite la vite di guarigione. Inoltre, non è esente da tutte le forze biomeccaniche perché i muscoli periferici (come le guance e la lingua) saranno a contatto con esso.

Il protocollo in un’unica fase consentirà:

  • Per offrire un maggiore comfort al paziente sottoposto a un solo intervento chirurgico;
  • Una riduzione del tempo complessivo del trattamento implantare;
  • Per controllare l’osteointegrazione durante la fase di guarigione.

1.3. Confronti tra protocolli e indicazioni in una fase e in due fasi:

Le risposte dei tessuti duri e molli non sono influenzate dal protocollo chirurgico scelto. Infatti, numerosi studi clinici e sugli animali che confrontano il posizionamento dell’impianto in una o due fasi concludono che l’osteointegrazione è identica per entrambi i protocolli (Gotfredsen et al, 1992; Levy et al, 1996; Ericsson et al, 1996; Abrahamsson et al, 1999).

Esistono tuttavia indicazioni preferenziali riguardo a questi due protocolli. Alcune situazioni possono indurre il medico a preferire un protocollo chirurgico in due fasi:

  • Scarsa stabilità primaria , per evitare sollecitazioni sull’impianto da parte della lingua, delle guance o addirittura del bolo alimentare;
  • Ambiente biomeccanico sfavorevole  : parafunzione (bruxismo, ecc.), inserzione muscolare nelle immediate vicinanze dell’impianto, utilizzo di una protesi rimovibile durante la fase di temporizzazione;
  • Igiene orale insufficiente  ;
  • Esigenze estetiche , se il profilo dei tessuti molli è difficile da prevedere con precisione, oppure se la gengiva presenta un deficit quantitativo e qualitativo (l’inumazione consente di ricreare migliori condizioni preparatorie per un successivo aumento del volume dei tessuti molli, mediante innesto osseo o connettivo).
  • Sviluppo dei tessuti , se si pianifica un aumento dei tessuti per evitare un’esposizione precoce e quindi la perdita di volume osseo rigenerato.

II. Chirurgia implantare senza lembo (tecnica “flapless”):

La chirurgia implantare convenzionale è oggi affiancata da tecniche chirurgiche che potrebbero non richiedere la creazione di lembi mucoperiostei.

L’intervento di implantologia senza lembo prevede la perforazione della cresta edentula direttamente attraverso la mucosa. Per questo motivo, la tecnica “flapless” è da anni oggetto di discussione tra gli operatori: troppo rischiosa e pericolosa per alcuni, benefica e vantaggiosa per altri. Questa tecnica comporta un alto rischio di complicazioni se non prevede l’uso di una guida chirurgica; la mancanza di precisione è allora molto significativa, si tratta di un intervento chirurgico completamente “alla cieca”.


PARTE III Chirurgia implantare assistita da computer:

L’implantologia assistita da computer (CAI) è una nuova disciplina che unisce le possibilità dell’informatica a quelle della chirurgia implantare riabilitativa dentale. Dopo aver investito nel campo della protesica sotto forma di progettazione e produzione assistita da computer (CAD-CAM), l’informatica offre il suo supporto al medico nella pianificazione e nell’esecuzione del suo intervento chirurgico e nella preparazione di una protesi provvisoria realizzata ancora prima dell’intervento chirurgico.

L’utilizzo dell’IAO consente tre applicazioni distinte e indipendenti tra loro:

  • Pianificazione del piano di trattamento;
  • Chirurgia guidata durante il posizionamento dell’impianto;
  • Preparazione di una protesi singola, parziale o totale, anche prima dell’intervento chirurgico.

IV. Tempo di guarigione prima dell’inserimento dell’impianto:

In seguito alla ricerca di Chen e Buser, nel 2003, alla terza conferenza di consenso dell’ITTI (International Team for Implantology), è stato proposto un sistema di classificazione riguardante i tempi di posizionamento dell’impianto dopo l’estrazione del dente: sono stati descritti quattro protocolli implantari basati sui cambiamenti morfologici, istologici e dimensionali dell’alveolo di estrazione nel tempo, e sono stati elencati i vantaggi e gli svantaggi di ciascun tipo di posizionamento.

ClassificazioneTerminologia descrittivaRitardo post-estrazione
Tipo 1Installazione immediataImmediatamente
Tipo 2Posizionamento precoce dopo la guarigione dei tessuti molliDa 4 a 8 settimane
Tipo 3Posizionamento precoce dopo la guarigione parziale dell’ossoDa 12 a 16 settimane
Tipo 4Installazione ritardata≥ 6 mesi

Classificazione del momento di posizionamento dell’impianto dopo l’estrazione del dente secondo Chen e Buser

Buser spiega in una revisione che l’impianto immediato dovrebbe essere considerato una procedura complessa che dovrebbe essere eseguita solo da medici esperti, quando sono presenti le condizioni anatomiche ideali. Che include:

  • Una parete vestibolare completamente intatta nel sito di estrazione;
  • Un biotipo gengivale spesso;
  • Assenza di infezione acuta nel sito di estrazione;
  • Volume sufficiente di osso apicale e palatale nel sito di estrazione per consentire l’inserimento dell’impianto in una posizione tridimensionale corretta con sufficiente stabilità primaria.

Se queste condizioni ideali non vengono soddisfatte, l’ITI raccomanda l’inserimento precoce dell’impianto (tipo 2) dopo 4-8 settimane di guarigione dei tessuti molli. Nel caso in cui non si preveda di raggiungere la stabilità primaria dopo 4-8 settimane, la guarigione post-estrattiva deve essere prolungata per consentire la guarigione parziale dell’osso (tipo 3).


Conclusione:

Sono quindi a disposizione del professionista diversi protocolli chirurgici implantari per far fronte alle molteplici situazioni cliniche che si presentano, diverse tra loro per il momento di inserimento dell’impianto nell’alveolo dopo l’estrazione, per la durata del trattamento, per il tempo di carico o ancora per la guarigione dei tessuti molli e duri.


Bibliografia:

  • Davarpanah M, Martinez H, Kebir M, Tecucianu JF.  Manuale di implantologia clinica. Rueil-Malmaison: collezione CdP JPIO. 1999.
  • Davarpanah M, Szmukler-Moncler S, Collettivo.  Manuale di implantologia clinica: concetti, integrazione di protocolli e abbozzo di nuovi paradigmi. Terza edizione. Rueil-Malmaison: CdP Editions, coll. JPIO, 2012.

Tecniche chirurgiche in implantologia orale

  I denti del giudizio possono causare infezioni se non vengono rimossi in tempo.
Le corone dentali proteggono i denti indeboliti da carie o fratture.
Le gengive infiammate possono essere il segno di gengivite o parodontite.
Gli allineatori trasparenti correggono i denti in modo discreto e confortevole.
Le otturazioni dentali moderne utilizzano materiali biocompatibili ed estetici.
Gli spazzolini interdentali rimuovono i residui di cibo tra i denti.
Un’adeguata idratazione aiuta a mantenere sana la saliva, essenziale per la salute dei denti.
 

Tecniche chirurgiche in implantologia orale

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